Con il ritorno delle belle giornate primaverili dopo settimane di pioggia e maltempo, ecco che la Liguria torna ad essere presa d’assalto da Lombardi e Piemontesi, ma non solo. Questi foresti (termine dialettale che indica i non liguri in generale, i forestieri) quando scendono non si fanno mai mancare un po’ di focaccia. Ma quando ne prendete un pezzo, magari prima di andare al mare, chiedete “una slerfa/striscia de fügassa” per sembrare “quasi” autoctoni. Ma attenzione, tra una striscia e una slerfa c’è differenza: una slerfa è 1/8 di leccarda, che equivale a circa 150/200 grammi. Mentre una striscia è un rettangolo di focaccia stretto e lungo, del peso di circa 60 grammi, cioè circa la metà di una piccola slerfa. Quest’ultimo è il formato più diffuso, di quelli che si trovano già tagliati nelle vetrine delle focaccerie disposte su di un cabaret di cartone (o polistirolo) in occasione di piccoli rinfreschi mattutini sul luogo di lavoro. È necessaria però una piccola ma fondamentale precisazione prima di continuare: la focaccia tradizionale è quella genovese (fugàssazeneize in dialetto), quindi soprattutto se siete a Genova non chiamatela focaccia ligure. Se poi volete sembrare proprio del posto, prendete una striscia di focaccia e inzuppatela nel caffellatte o cappuccino al mattino, il contrasto vi stupirà.
La focaccia è un alimento che vanta una storia lunghissima, di cui si trovano citazioni in numerose documenti antichi, anche se non si è sicuri che ciò che veniva definito focaccia un tempo corrispondesse davvero al prodotto che amiamo e di cui parliamo oggi. Diffusa nel bacino del Mediterraneo sin dall’epoca dei Fenici e dei Cartaginesi, Catone nel II secolo a.C. fornisce nei suoi scritti una descrizione del Libum, primo antenato di questa specialità, spesso offerto in dono agli dei latini. Anche i Greci ne vantavano una propria versione spesso preparata con farine di cereali come orzo, segale e miglio. Per i Romani era un alimento così pregiato da essere offerto agli dei in occasione della loro celebrazioni. Sebbene le origini della versione genovese non sono facilmente collocabili, è proprio in questi anni che si delinea il termine focaccia, derivante dal tardo latino “focacia”, femminile di “focacius” che significa semplicemente “cotto al focolare” (dal latino “focus”). Per quanto riguarda Genova, il termine dialettale fügassa compare per la prima volta in un documento scritto del ‘300, secondo quanto riportato da Fiorenzo Toso, autore del “Piccolo dizionario etimologico ligure”. Si sa, però, che la focaccia ha ricoperto a lungo un ruolo di spicco nell’alimentazione dei Liguri, in quanto economica e sostanziosa. Già durante il Medioevo a Genova rappresentava una gustosa tradizione, al punto da essere consumata persino in chiesa, specialmente durante la celebrazione dei matrimoni al momento della benedizione. La sua introduzione anche nei riti funebri fu la goccia che fece traboccare il vaso e, alla fine del XVI secolo, il vescovo Matteo Gambaro, interruppe tale consuetudine minacciando di scomunica chi l’avesse perpetuata. Risalgono sempre al Cinquecento, le indicazioni riportate in alcuni documenti riguardanti i banchetti in onore del neoeletto Doge che riferiscono proprio di una “fugase” nell’elenco dei prodotti preparati per il banchetto dei festeggiamenti. Già nel 1392, oltre sei secoli fa, nell’inventario dei beni di un fornaio si trova l’indicazione “pala una magna pro fugacis”, cioè una grande pala necessaria per introdurre nel forno un prodotto forse non contenuto in una teglia, ma cotto direttamente sul piano del forno, come riportato da Luigi Tommaso Belgrano nel 1866, autore de “Della vita privata dei Genovesi”. Probabilmente quello che un tempo veniva definito focaccia era una spianata semplice e molto meno condita e forse più simile ad un semplice pane sottile. Bisogna aspettare però fino all’Ottocento per essere certi di ritrovare qualcosa di veramente più simile all’attuale focaccia genovese. Di essa inizieranno a trattare i primi dizionari di genovese e soprattutto le Cuciniere, i primi libri di cucina genovese. Dalle ricette qui riportate tuttavia, si evince un’ulteriore evoluzione della ricetta stessa. Nella descrizione delle caratteristiche fossette che ricoprono la superficie della fügassa, infatti, si invitavano massaie e fornai a pizzicare appena la superficie della pasta, mentre nella versione attuale il consiglio è di affondare le dita quasi con tutta la prima falange nell’impasto. Questo lascerebbe presupporre per il passato un qualcosa di diverso dai classici alveoli rispetto a come oggi li osserviamo oggi. In ogni caso, quel che è certo è che per i tempi più antichi, nessuno sa dire come si facesse la focaccia anche se sicuramente non si utilizzava il lievito di birra ma la pasta madre. Non ci è dato nemmeno sapere quanto olio ci fosse sopra o nell’impasto.
Proprio la sua durevolezza nel tempo e la sua caratteristica proteica hanno fatto sì che la focaccia venisse utilizzata anche dai viaggiatori e dai pescatori. Anticamente, non veniva utilizzato il lievito, introdotto solo in epoca successiva. Nella zona portuale di Genova oltre ai forni nacquero le “sciamadde” (dal dialetto genovese, “fiammata”), antiche friggitorie di strada dove vi era anche il forno a legna con la fiammata, nel quale veniva cotta anche la focaccia. La focaccia diventa così un cibo molto popolare perché poco costoso. Con il passare degli anni diventa nell’800 la colazione dei portuali genovesi, in particolare dei camalli (dal dialetto genovese, “scaricatore di porto”) che la consumavano alle 11 in punto assieme a un buon bicchiere di vino bianco di Coronata. La sensazione di sazietà che ne derivava permetteva ai camalli, all’occorrenza, di saltare la pausa pranzo.
Inoltre, lo stesso termine focaccia in passato non indicava sempre il prodotto che oggi è addirittura tutelato da un marchio, il Marchio Collettivo GE 1996 N° 0001187822, a garanzia dell’originalità del prodotto del quale può fregiarsi chi sottoscrive il relativo disciplinare di produzione della focaccia. Il fortissimo legame di questa specialità con la tradizione gastronomica regionale ne ha decretato l’inserimento nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) per la Liguria ed oggi non esiste un fornaio a Genova che non prepari la sua versione della mitica focaccia. Il marchio, che tutela la focaccia genovese fin dal 1996, riunisce 35 panificatori locali che la preparano con farina, olio extravergine, lievito, sale marino, acqua, estratto di malto e nient’altro. Un consiglio dato da alcuni genovesi è quello di gustarsi una striscia al contrario, all’ingiù, così che i cristalli di sale siano immediatamente a contatto con la lingua.
Un sacco di nozioni e tantissime informazioni dietro ad un prodotto che si può ricreare alla perfezione anche a casa così da gustarlo tutte le volte che vorrete, anche fuori Liguria. Eccovi la ricetta per fare la focaccia genovese fatta in casa perfetta come in focacceria.
- Difficoltà: media
- Tempo di preparazione: 18h
- Dosi: 1 teglia (circa 9 persone/pezzi)
- Costo: basso
INGREDIENTI
Ingredienti biga:
- 95g di farina 00 Caputo Cuoco (w300-320)
- 43ml d’acqua
- 1,1g di lievito di birra fresco
Ingredienti impasto:
- Biga (tutta)
- 360g di farina 00 Caputo Cuoco (w300-320)
- 222ml d’acqua
- 22ml di olio extravergine d’oliva
- 11g di lievito di birra fresco
- 9g di sale
- 8g di malto diastatico
Ingredienti teglie:
- 5ml di olio extravergine d’oliva
Ingredienti salamoia:
- 150ml d’acqua
- 38ml di olio extravergine d’oliva
- 8g di sale
PREPARAZIONE
- Versate in una ciotola 43ml d’acqua a 30° e scioglieteci dentro 1,1g di lievito di birra fresco
- Aggiungete poco alla volta 95g di farina 00 forte
- Continuate ad aggiungere farina ed impastare fino a formare un panetto grezzo
- Trasferite il panetto di biga e lavoratelo su di un asse di legno
- Continuate a lavorarlo fino a quando non sarà liscio e omogeneo
- Trasferite il panetto di biga in una ciotola e copritela con della pellicola per alimenti
- Avvolgete la ciotola contenente l’impasto della biga in una coperta e lasciate lievitare per 12h a temperatura ambiente (circa 20°)
- Nella ciotola della planetaria versate 210ml d’acqua (il 95%) ad una temperatura di 30° e scioglieteci dentro 11g di lievito di birra fresco
- Una volta sciolto il lievito aggiungete 8g di malto diastatico
- Usando il gancio della planetaria fate amalgamare la biga con i “liquidi” presenti nella ciotola della planetaria
- Aggiungete poco alla volta 360g di farina 00 forte
- Continuate a far amalgamare gli ingredienti e aggiungete 9g di sale
- Versate i restanti 20ml d’acqua (il 5%) tenuti da parte così da aiutare l’impasto ad amalgamarsi
- Aumentate leggermente la velocità della planetaria e aggiungete 22ml di olio extravergine d’oliva a filo poco alla volta
- Una volta ottenuto un impasto liscio e omogeneo, rovesciatelo su di una spianatoia infarinata e dopo averlo steso leggermente a mano formando un rettangolo fate una prima piega a libro
- Girate il panetto piegato a libro di 90° e stendetelo nuovamente a rettangolo facendo una seconda piega a libro
- Rovesciate il panetto facendolo appoggiare sulla piega prima di coprirlo con della pellicola per alimenti e lasciatelo riposare per 30′
- Versate 5ml di olio extravergine d’oliva su una teglia 35x43cm e spennellate sia fondo che bordi
- Passata mezz’ora il panetto d’impasto sarà lievitato e potrete togliere la pellicola che lo ricopre
- Cospargete con la farina la spianatoia, il panetto e soprattutto il sotto dello stesso così da non farlo attaccare
- Aiutandovi con un mattarello stendete il panetto a formare un rettangolo che sia pressappoco delle dimensioni della teglia
- Aiutandovi con il mattarello arrotolate l’impasto steso su di esso e trasferitelo nella teglia unta d’olio avendo cura di sistemarlo ma senza preoccuparvi che occupi alla perfezione la stessa
- “Sigillate” la teglia con della pellicola per alimenti
- Coprite la teglia con una coperta così da mantenere una temperatura costante e lasciate lievitare per 1h
- In un dosatore contenente 150ml d’acqua a 30° versate 8g di sale per creare la salamoia
- Trascorsa 1h date una spolverata leggera di farina sull’impasto prima di fare i classici buchi
- Usate i polpastrelli, non solo la punta delle dita, e sfruttando tutta la prima falange delle tre dita centrali di ciascuna mano fate tanti buchi vicini e profondi
- Versate tutta la salamoia avendo cura di coprire per bene tutti i buchi
- Spargete in maniera omogenea 38ml di olio extravergine di oliva e poi lasciate lievitare per 1h
- Infornate la teglia al secondo ripiano con il forno caldo a 230° in modalità statica facendo cuocere la focaccia per 21′ fino a quando il sopra non si sarà dorato
- Non appena sfornata datele una generosa spennellata di olio extravergine d’oliva e preparatevi a gustarla ancora calda
STRUMENTI UTILIZZATI
- Asse di legno per impastare da 80x60cm
- Bilancia per alimenti
- Bilancino di precisione per alimenti
- Cilindro graduato
- Ciotole di varie misure
- Dispenser dosatore olio da 225ml
- Forbici tagliapizza
- Mattarello in legno da 60cm
- Pennello per alimenti
- Planetaria Kenwood chef
- Spatola per pizza
- Spatola per tagliare
HO ANCORA VOGLIA DI…