Questa volta la curiosità mi ha portato a cimentarmi con l’oro rosso, così vien definito lo zafferano, spezia che da secoli fornisce una particolare colorazione gialla alle pietanze che incontra. L’associazione con l’oro non è né casuale né tantomeno banale. Verissimo che in antichità si associava la colorazione donata dallo zafferano ai piatti con l’oro, ma al giorno d’oggi, grazie al suo prezzo al grammo intorno ai 30€, è paragonabile con quello di 1g d’oro. La coltivazione, la raccolta e la lavorazione dello zafferano sono completamente artigianali, in assenza di qualsiasi tipo di meccanizzazione. A seconda del clima e della regione geografica, la raccolta avviene tra settembre e novembre. I fiori vengono raccolti uno a uno nelle prime ore del mattino, quando sono chiusi. Poi c’è un altro lavoro manuale, delicato, per non rovinare i pistilli, esili e leggerissimi: staccarli dall’interno del fiore. Gli stigmi vengono quindi fatti seccare all’ombra, o utilizzando un piccolo forno o un braciere e durante questa operazione essi perdono circa i quattro quinti del loro peso. Si finisce così che per produrre 1kg di zafferano è necessario raccogliere circa 150mila fiori, che comporta più o meno 500 ore di lavoro. In pratica, per una bustina di zafferano, servono circa 60 pistilli, ovvero 20 fiori. I maggiori produttori di questa preziosa spezia sono l’Iran, la Spagna, il Kashmir, il Marocco, la Grecia. In Italia, leggenda vuole che la sua coltivazione, cessata da secoli, tornò a essere praticata grazie a un frate domenicano, padre Santucci. Da membro del tribunale dell’inquisizione, si trovava a Toledo tra il 1216 e il 1230 e un giorno riportò dalla Spagna queste piantine nelle sue terre natie, la piana di Navelli, in Abruzzo, vicino all’Aquila. A partire dal XIII secolo la coltivazione dei suoi fiori si è propagata ad altre zone dell’Italia e oggi le maggiori produzioni sono, oltre che nello stesso Abruzzo, in Toscana, in Sardegna, in Sicilia, in Umbria, nelle Marche. Tra queste regioni, in Sardegna si trova, oltre alla DOP (Zafferano di Sardegna DOP), anche un Presidio Slow Food noto come lo zafferano di San Gavino Monreale, in provincia di Cagliari.

Questa preziosa e colorata spezie è caratteristica di diversi piatti regionali, tra cui il risotto alla milanese, con cui il risotto allo zafferano condivide una storia comune ma che non si deve confondere per la stessa cosa. La differenza sostanziale, si trova nell’utilizzo del midollo di manzo o bue nella versione milanese. Con delibera della Giunta Comunale di Milano del 14 dicembre 2007, la ricetta tradizionale del risotto alla milanese ha ricevuto il riconoscimento di Denominazione Comunale (De.Co.). La De.Co. in Italia sta a indicare l’appartenenza di un piatto a un territorio. È un riconoscimento che i comuni danno ai loro prodotti gastronomici più connessi al territorio e alla comunità locale, così anche da codificare con precisione le ricette tradizionali spesso influenzate nel tempo. È proprio indietro nel tempo che affonda le radici la storia della nascita del risotto allo zafferano, proprio in quel di Milano. Il riso, cereale di origini asiatiche, fu importato in Europa dai Mori e dai Saraceni, facendo la sua comparsa in Italia nel XIII secolo, specialmente nella zona meridionale. Cominciò a essere coltivato nel Napoletano nel ‘300 e successivamente, grazie ai contatti tra le famiglie degli Aragonesi e degli Sforza, trova terreno fertile in Pianura Padana e nella zona del Vercellese. Leggenda vuole che il risotto allo zafferano, ricetta probabilmente derivante da quella del “riso col zafran” tipico della cucina araba ed ebraica sin dal Medioevo, sia nata quasi per scherzo durante un banchetto di nozze nel 1574. L’invenzione di questa ricetta si deve a un garzone del belga Mastro Valerio di Fiandra, maestro che terminò nel Duomo di Milano la vetrata di Sant’Elena, lasciata incompiuta da Rainaldo d’Umbria. Mastro Valerio era tanto abile nella sua arte quanto in quella di vuotar boccali di buon vino, per cui sembra che il merito maggiore delle sue vetrate, piuttosto che a lui, sia di un garzone. Questo, che per suo estro dosava saggiamente lo zafferano negli impasti dei colori che preparava ottenendo effetti meravigliosi, finì per esser soprannominato da Mastro Valerio “Zafferano”. Si dice che, con tono scherzoso, Mastro Valerio ripetesse al garzone “un giorno o l’altro finirai per metterlo persino nel risotto lo zafferano”, risotto che all’epoca si faceva bianco. Ma nel giorno del matrimonio della figlia di Mastro Valerio, il garzone in accordo con l’oste del bettolino della cascina di Camposanto (perché il pranzo si tenne nel cantiere dietro il Duomo) portò proprio in tavola un bel risotto color oro. Si dice che il suo fu anche un gesto di gelosia per boicottare le nozze dei giovani sposi perché anche l’assistente era innamorato della ragazza. Ma ottenne un risultato contrario. Passato lo sbalordimento provocato dall’inattesa apparizione, il primo ad esserne entusiasta fu proprio Mastro Valerio. Era nato il risotto allo zafferano (alla milanese). Ciò avvenne nel settembre dell’anno 1574 al “bettolin di pret” in Camposanto dietro al Duomo in costruzione, dove si trovavano i cantieri dei costruttori.

Attraverso le varie epoche, s’è via via cominciato a soffriggere il riso invece che bollirlo, innovazione codificata dal cuoco Antonio Nebbia nel suo libro “Il Cuoco maceratese” del 1779, poi ad aggiungervi la cipolla, fino alla formazione definitiva della ricetta in Lombardia nell’Ottocento. La si ritrova prima nell’opera “anonima” intitolata “Il cuoco moderno ridotto a perfezione secondo il gusto italiano e francese” pubblicato a Milano nel 1809 di un non meglio identificato L. O. G., poi nel 1853 nel “Nuovo cuoco milanese economico” di Giovanni Felice Luraschi. Un viaggio secolare che ci porta fino ad oggi, alla scoperta della ricetta perfetta per fare un risotto allo zafferano secondo tradizione lombarda.

  • Difficoltà: facile
  • Tempo di preparazione: 30′
  • Dosi: 4 persone
  • Costo: medio

INGREDIENTI

  • 320g di riso Carnaroli
  • 1,5L di acqua
  • 100ml di vino bianco fermo
  • 100g di burro
  • 70g di Grana Padano/Parmigiano Reggiano
  • 20g di cipolla bianca
  • 2 dadi vegetali
  • 1 bustina di zafferano in polvere (0,13g/cad)
  • 0,2g di pistilli di zafferano
  • Sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE

  1. Portate a bollore 1,5L d’acqua e scioglieteci dentro 2 dadi vegetali
  2. Sciogliete 75g di burro in una pentola a fuoco basso
  3. Quando il burro si sarà sciolto versate in pentola 20g di cipolla bianca tritata
  4. Versate 320g di riso Carnaroli e fatelo tostare
  5. Continuate a mescolare fino a quando il riso non sarà traslucido
  6. Versate 100ml di vino bianco e sfumate il riso
  7. Aggiungete poco alla volta il brodo vegetale bollente e fate cuocere il riso
  8. Subito dopo i primi due mestoli di brodo versate 1 bustina di zafferano in polvere
  9. A seguire aggiungete anche 0,2g di pistilli di zafferano
  10. Verso la fine della cottura del riso date una leggera spolverata di pepe e mescolate
  11. Quasi a fine cottura aggiungete un pizzico di sale e mescolate
  12. Una volta che il riso sarà cotto rigorosamente al dente, spegnete il fuoco e fate riposare circa 1 minuto prima di aggiungere i restanti 25g di burro per mantecare
  13. In contemporanea versate 70g di Grana Padano (o Parmigiano Reggiano) e mantecate il tutto

STRUMENTI UTILIZZATI

HO ANCORA VOGLIA DI…