Le feste nel mondo sono indissolubilmente legate anche al cibo e l’Italia non fa eccezione, anzi. Molte ricette dello stivale hanno radici decisamente antiche e lontane, come la pastiera napoletana, di cui proverò a darvi tutti i dettagli nelle prossime righe. Tradizionalmente, s’inizia la preparazione il giovedì santo per poi avere il tempo di farla riposare e mangiarla il sabato precedente la domenica della Resurrezione e a Pasquetta sulle tavole dei partenopei. L’importanza di questa pietanza esula dalla sfera religiosa e si afferma a livello ufficiale con il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) campano. Per chi volesse approfondire, la Ventunesima revisione dell’elenco dei PAT è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 48 del 26 Febbraio 2021 nel Supplemento Ordinario n. 15. La Regione Campania, con 569 prodotti, è la Regione con il maggior numero di prodotti registrati.

La nascita della pastiera, come molti altri dolci e piatti della tradizione, non ha riferimenti bibliografici puntuali e precisi. Bisogna quindi “affidarsi” alla nutrita compagine di leggende partenopee in merito, frutto di un popolo con una vivace immaginazione. Le origini, dando per buone più o meno tutte le storie, ci riportano all’inequivocabile funzione votiva della pastiera, nonché di ringraziamento verso le divinità. Ad oggi, dopotutto, è comune abitudine ringraziare qualcuno regalando una pastiera nel periodo pasquale. Le leggende e le storie legate alla nascita della pastiera sono varie, così di seguito le ho raggruppate per darvi una panoramica completa:

La sirena Partenope – La leggenda, che vuole la sirena Partenope creatrice di questa delizia, deriva probabilmente dalle feste pagane e dalle offerte votive del periodo primaverile. Dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura greca. Quando, secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli. Da qui ogni primavera emergeva per salutare le genti felici che lo popolavano, allietandole con canti di gioia che si spandevano da Posillipo al Vesuvio. In un’occasione, la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti, così accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e dalle parole d’amore che la sirena aveva loro dedicato e, per ringraziarla, sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnarle i sette doni della natura: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio, profumo della terra campana (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitata in Europa, fatto, tra l’altro, che suscita non pochi dubbi sulla reale fondatezza storica della leggenda); le spezie, omaggio di tutti i popoli; lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì i doni e li depose ai piedi degli dei che si riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera, che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.

Le suore del convento di San Gregorio Armeno – La storia più quotata, al di là dei presunti legami con la cultura pagana, vuole la nascita della ricetta della pastiera così come la conosciamo oggi nel XVI secolo tra le mura di un convento, come per la maggior parte dei dolci napoletani. Con ogni probabilità, tra le mura del convento di San Gregorio Armeno, la famosa strada dei pastori nel cuore del centro storico di Napoli. Una delle suore benedettine che vivevano là volle realizzare un dolce che potesse unire alcuni degli ingredienti più simbolici del periodo pasquale, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Il fine ultimo era quello di rappresentare la morte e la resurrezione di Cristo, infatti in primis vi erano le uova, che rappresentano nella simbologia cristiana la nascita a vita eterna dell’uomo attraverso la morte e Resurrezione del Figlio di Dio. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche e borghesi della città. La scrittrice e gastronoma Loredana Limone racconta che “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni, dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”.

La regina che non sorride mai – Nel 1837, Maria Teresa d’Asburgo-Taschen andò in sposa a re Ferdinando II di Borbone, dopo la morte della prima moglie di quest’ultimo (nonostante qualcuno dica anche che la regina protagonista di questa storia fosse la prima moglie di Ferdinando II, Maria Cristina di Savoia). L’ombrosa Maria Teresa aveva un comportamento che poco si addiceva ad una regina poiché non amava la vita di corte e detestava i convenevoli della nobiltà borbonica, tanto da valerle il soprannome de “la regina che non sorride mai”. Parrebbe che un sorriso riuscì a strapparglielo il suo goloso marito Ferdinando, soprannominato “re bomba”, con una fetta di pastiera di cui era molto ghiotto. Al primo assaggio, però, la sua tristezza si sciolse in un gran sorriso, dovuto forse alla dolcezza e alla morbidezza della pietanza. Il sovrano fu così colpito dall’accaduto che esclamò a gran voce: “Chistu dolce te piace eh? E mò c’ ‘o saccioordino al cuoco che a partir d’adesso, stà pastiera la faccia un pò più spesso. Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno, pe te fà ridere ha dda passà n’at’ anno!” (Ti piace questo dolce? Ed ora che lo so, ordinerò al cuoco che da ora questa pastiera si farà un po’ più spesso. Non solo a Pasqua, ché altrimenti è un danno, perché per farti ridere dovrò aspettare un altro anno!). Da qui deriverebbe anche il detto “magnatell ‘na risata” (mangiatela una risata), tipica frase che sollecita le genti all’ilarità come a dire “sforzati, ridi un po’, che non ti fa male”.

Le offerte delle mogli dei pescatori – Un’altra leggenda partenopea è sempre legata al mare, ma vede come protagoniste le mogli dei pescatori. Quest’ultime, narra il mito, solevano lasciare sul bagnasciuga i famosi sette ingredienti come “dono al mare”, affinché i loro mariti ritornassero sani, salvi e con le reti piene. Ma durante una notte le onde mischiarono tutti questi prodotti e al loro ritorno, il giorno dopo, trovarono in quelle stesse ceste un dolce già pronto, cioè la pastiera. Il mare non solo gli aveva riportato i consorti sani e salvi ma lasciò loro anche un dolce fantastico.

La merenda dei pescatori – Qualcuno dice che la pastiera fosse “la merenda dei pescatori” e che quindi il nome pastiera derivi da “pasta ‘aier” (pasta di ieri), ovvero la pasta avanzata dal giorno prima. In effetti, dato l’alto contenuto energetico del dolce, risulta sicuramente adatto per una giornata di lavoro in mare.

Le sacerdotesse di Cerere – Di pastiera abbiamo tracce antichissime, tanto che dobbiamo ripercorrere a ritroso la storia fino ai miti di Cerere, alle celebrazioni in onore dell’arrivo della primavera: celebrazioni citate anche in un precedente articolo, parlando delle zeppole di San Giuseppe). In queste cerimonie si portavano in processione diversi simboli primaverili per la “rinascita” della Terra. È sicuro che, per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato “rinascita” e Resurrezione con il cristianesimo. Il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare invece dal pane di farro delle nozze romane, dette per questo “confarreatio”.

Le focacce rituali – Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua.

La diffusione della pastiera a Napoli sin dal XVII secolo ci è confermata dal novelliere Giambattista Basile che, nella favola “La gatta Cenerentola” (da cui Charles Perrault attinse per la sua Cendrillon), sesto racconto del Pentamerone Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, la nomina proprio esplicitamente: “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle”. In particolare, l’episodio riguarda il banchetto che il re aveva organizzato per ritrovare la fanciulla protagonista. L’interpretazione critica a conferma che il termine “pastiera” usato nell’opera facesse effettivamente riferimento al famoso dolce ce la fornisce Benedetto Croce nel 1925, con il suo commentario all’opera. Nonostante la conferma della sua esistenza, Basile non ci fornisce alcune ricetta. La prima ricetta scritta è datata 1693 e compare nel trattato di cucina “Lo scalco alla moderna” del marchigiano Antonio Latini, scritto e pubblicato nel 1693 a Napoli, dove l’autore lavorò al servizio di Esteban Carillo y Salsedo, primo ministro del viceré Francisco de Benavides. Si trattava di una torta a metà tra il rustico e il dolce in cui, oltre a grano e ricotta, erano previsti il formaggio Parmigiano grattato (forse provola sostituita dal cuoco forestiero), pepe, sale, pistacchi in acqua rosa muschiata, latte di pistacchi, tutto raccolto in pasta di marzapane e ambra, quest’ultima raccolta sin da tempi antichissimi sulle spiagge dell’Atlantico e impiegata come fissante in profumeria e in gastronomia, stemperata con altri aromi antichi.

Il Latini non fa alcun riferimento al numero di “sfogli” di marzapane per la copertura e non lo fa neanche il pugliese Vincenzo Corrado, capocuoco presso il palazzo Cellamare di Napoli, che nel 1773, cioè ottant’anni più tardi, pubblica la prima edizione de “Il Cuoco Galante”. Qui si legge la preparazione della Torta di frumento con tanto di indicazione “da fare in aprile”. Le modalità descritte dal Corrado insegnano a preparare una pastiera più aderente a quella dolce di oggi, pur partendo dalla cottura del grano in un brodo di cappone, “la quale si coprirà con altra pasta a striscie”, senza alcuna indicazione di quantità.

Per meglio capire l’importanza de “Il Cuoco Galante“, vanno spese due parole così da meglio contestualizzare questa ricetta. Questo prontuario si offriva di sistematizzare la cucina regionale italiana ed in particolar modo la cucina napoletana. In un periodo di grosse influenze sul regno borbonico, soprattutto da parte dei francesi, Il Cuoco Galante voleva offrire una panoramica della cucina e sistematizzare l’etichetta dei vari eventi, fornendo anche spiegazioni ed indicazioni sull’utilizzo stagionale di questo o quel prodotto. Si può quindi facilmente intuire come la qui chiamata “torta di frumento” rientrasse già a pieno titolo nelle preparazioni tipiche dei cortigiani napoletani. Nel 1837, un secolo e mezzo dopo la testimonianza di Latini, Ippolito Cavalcanti scrive quella che è la ricetta ormai aderente alla pastiera dolce di oggi nell’appendice dialettale “Cusina casarinola all’uso nuosto napolitano”. Trattasi di un compendio della gastronomia popolare di Napoli inserito nella prima edizione del suo trattato didattico “Cucina teorico-pratica”, facendo però anche riferimento all’antica versione rustica da preparare con provola grattata.

Purtroppo, anche le ricette subiscono le fake news. È questo il caso della bufala che vorrebbe attribuire alla tradizione l’usanza di decorare la superficie della pastiera con sette strisce di pasta frolla. Non vi è alcuna traccia storica a sostegno e pure il napoletano Cavalcanti scrive di “cancellata de tante laganelle”, senza precisare quante. Non lo fa nessuno per secoli, facendosi pastiere di ogni strisciatura nelle case e nelle pasticcerie vesuviane. Fino al 2016, quando una pasticceria nel cuore dei decumani distribuisce ai suoi clienti un racconto cartaceo in cui si narra dell’opportunità di coprire la pastiera proprio con sette strisce generando una potente bufala. Nonostante le innumerevoli prove, fatti storici e leggende che vi ho riportato, sulla vera ricetta della pastiera napoletana ognuno dice la sua e il dibattito ferve anche in terra partenopea. La ricetta classica prevede la preparazione di una frolla a base di farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato da sistemare sul “ruoto”, la tipica tortiera in alluminio dai bordi lisci e leggermente svasati, alta 3-5 cm. Il “ruoto” più antico, però, consentiva di preparare pastiere più grandi visto che era alto addirittura 10 cm. Per il ripieno occorrono invece latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, scorza d’arancia e di limone, aroma di fiori d’arancio e cannella in polvere. Il tutto da sormontare con le striscioline di frolla e poi da cuocere in forno, con spolverata di zucchero a velo finale post cottura a piacere. Ora mettiamo in pausa storie e leggende ed immergiamoci nella preparazione della regina dei dolci pasquali per eccellenza, con la mia ricetta per preparare una pastiera napoletana secondo ricetta originale come da tradizione.

  • Difficoltà: media
  • Tempo di preparazione: 2 giorni
  • Dosi: 8/12 persone/fette
  • Costo: medio

INGREDIENTI

Ingredienti pasta frolla:

  • 350g di farina 00
  • 170g di burro
  • 140g di zucchero semolato
  • 10g di lievito per dolci in polvere
  • 5ml di aroma di fiori d’arancio
  • 2 tuorli di uova medie
  • 1 uovo medio intero
  • 1g di sale
  • 1 bustina di vanillina (0,5g/CAD)
  • Scorza grattugiata di un limone (3g)

Ingredienti crema di grano:

  • 300g di grano cotto
  • 150ml di latte intero
  • 25g di burro
  • Scorza di un limone
  • Scorza di un’arancia

Ingredienti crema di ricotta:

  • Crema di grano
  • 350g di ricotta di pecora
  • 300g di zucchero semolato 
  • 60ml di aroma di fiori d’arancio
  • 40g di canditi d’arancia
  • 40g di canditi di cedro
  • 3 uova medie intere
  • 2 tuorli di uova medie
  • 2 bustine di vanillina (0,5g/CAD)
  • 0,5g di cannella

PREPARAZIONE

  1. Versate 350g di farina 00 insieme a 140g di zucchero semolato in una ciotola
  2. Aggiungete la scorza grattugiata di un limone (3g) e mescolate
  3. Aggiungete 10g di lievito per dolci in polvere e mescolate
  4. Versate 1g di sale e mescolate
  5. Versate 1 bustina di vanillina (0,5g) e mescolate
  6. Aggiungete 2 tuorli di uova medie e 1 uovo medio intero al resto e mescolate
  7. Versate 5ml di aroma di fiori d’arancio e mescolate
  8. Aggiungete 170g di burro a temperatura ambiente al resto e fatelo amalgamare al resto
  9. Una volta che il composto inizierà a legare continuate con le mani avendo cura di bagnarvele così che l’impasto non vi si attacchi
  10. Continuate ad impastare fino ad ottenere un panetto liscio e omogeneo ma senza lavorarlo troppo così da non farlo impazzire
  11. Avvolgete il panetto di pasta frolla con della pellicola e fatelo riposare in frigo per 12-24h così che i sapori si amalgamino per bene
  12. Versate in una pentola 300g di grano cotto
  13. Aggiungete 150ml di latte intero
  14. Aggiungete 25g di burro a temperatura ambiente e mescolate velocemente
  15. Aggiungete la scorza di un’arancia e la scorza di un limone al resto e dopo aver mescolate leggermente il tutto accendete il fornello al minimo
  16. Fate cuocere lentamente per 25′ fino a quando non avrete ottenuto un composto cremoso
  17. A cottura ultimata e a fuoco spento rimuovete le scorze d’arancia e di limone dalla crema di grano avendo cura di pulirle per bene
  18. In una ciotola versate 350g di ricotta di pecora fresca e schiacciatela per bene
  19. Versate 300g di zucchero e mescolate
  20. Aggiungete tutta la crema di grano e amalgamatela con il resto
  21. Sbattete assieme i tuorli di 2 uova medie con 3 uova medie intere
  22. Aggiungete le uova sbattute al resto degli ingredienti nella ciotola e mescolate
  23. Versate 60ml di aroma di fiori d’arancio e mescolate
  24. Aggiungete 0,5g di cannella e mescolate
  25. Versate 2 bustine di vanillina (1g) e mescolate
  26. Tagliate 40g di arancia candita a dadini
  27. Tagliate 40g di cedro candito a dadini
  28. Completate il ripieno della pastiera, ovvero la crema di ricotta, aggiungendo gli 80g di canditi nella ciotola per poi farla riposare in frigo mentre si stende la pasta frolla
  29. Tirate la pasta frolla fuori dal frigo circa 30′ prima d’iniziare a stenderla tra due fogli di carta forno
  30. Stendetela in maniera uniforme fino ad un’altezza di 5mm
  31. Imburrate una tortiera da pastiera con base da 22cm e svasatura dal diametro di 25cm
  32. Date una spolverata di farina alla tortiera così che la pastiera non si attacchi
  33. Capovolgete la tortiera sulla pasta frolla stesa e ribaltate il tutto così da creare la base della pastiera
  34. Rimuovete la pasta frolla in eccesso conservandola per fare la strisce da mettere sopra la pastiera
  35. Con una forchetta forate la base di pasta frolla così da non farla gonfiare in cottura
  36. Con l’aiuto di un mestolo versate la crema di ricotta fino a quasi 5mm da bordo superiore della tortiera
  37. Stendete la pasta frolla avanzata ad un’altezza di 5mm
  38. Con l’aiuto del matterello create delle strisce di pasta frolla di uguale larghezza
  39. Posizionate le strisce sul ripieno della pastiera
  40. Dopo aver messo le prime 3 strisce parallele tra loro adagiate le seguenti in maniera tale da formare i classici rombi dalle intersezioni
  41. Infornate la pastiera nel 2° ripiano in forno statico a 190° per 40′
  42. Passati i primi 40′ abbassate la temperatura del forno portandola a 160° e lasciate cuocere per altri 30′
  43. A cottura ultimata spegnete il forno lasciando dentro la pastiera per altri 5′ ma con lo sportello leggermente aperto e poi, una volta tolta, lasciatela raffreddare e riposare per almeno 24h prima di mangiarla

STRUMENTI UTILIZZATI

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